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FICTION

Après plusieurs essais de romans et de nouvelles, Claudio Fiorentini publie, en 2002, son premier roman Ovvero, le porte del mare, défini par la critique «roman fable». En 2004, il publie Io parlo Jazz, écrit entièrement sous l’influence du jazz, et qui a son point de départ dans un rêve. Ce roman est devenu, en 2015, un spectacle de théâtre. En 2007, il publie Il faro di Bighlise, qui raconte les faits d’un mélange de personnages lunatiques, qui se rencontrent au phare pour écouter les discours d’un vieux gardien.

En 2012, il publie Captaloona, probablement son roman le plus représentatif. En 2015, il publie le recueil de nouvelles Piricotinali col ruspetto, une panoplie d’histoires parcourues par un profond humour démentiel. En 2016, il publie Fermata del bus, roman court, qui attaque les manies de l’homme contemporain. En 2021 publie Concerto a Vanagloria, roman dans lequel les temps n’ont pas de sequence. Tous les romans de Fiorentini sont traités avec l’humour féroce qui caractérise son style de narration.

En 2008, il publie La stella e la sua luce, qui en 2018 devient un scenario pour le cinéma, et qui raconte l’histoire d’un «commando» de gens un peu bizarres que sabotent les reality shows télévises. En 2011 il publie Il misterioso caso di via Delia da Gilal-Gulta, histoire d’une investigation avec des aspects métaphysiques qui laisse de l’espace à une véritable satire de notre grotesque société. 

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Torri di pietra (Ensemble)

Un ladro ex costumista di cinema riceve, dalla veggente di cui è innamorato, un incarico di vitale importanza per l’umanità. Si tratta di una missione impossibile? No, in realtà deve solo rubare un libro che si trova in una biblioteca gestita da una giovane fannullona appassionata di esoterismo. Ma che succede se il libro è stato dato in prestito ad un giovane investigatore privato che per pagare le bollette fa l’accompagnatore di mascotte? È questo l’inizio di un’avventura in cui una serie di personaggi stralunati diventano l’affettuoso ritratto di un’umanità capace di fare i conti con la vita solo quando, dopo un ritmico e continuo crescendo di eventi, incontra la luce.

Tutto ebbe inizio quando l’aristocrazia era vista con sospetto, gli oroscopi segnavano il ritmo quotidiano delle nostre vite insignificanti, la malavita era roba da dilettanti e il barone Harper Barnaus era innamorato di Marta Debugging. Era il tempo in cui andavano di moda le sedute spiritiche e i sogni degli adolescenti popolavano i diari, a volte prendendo forma di poesie, altre rimanendo nel cassetto. Ogni uomo sa cosa significa avere un sogno nel cassetto e credere che si realizzi quando lo prevede l’oroscopo. Lo sa, ma non lo confessa. Neanche a se stesso. Intendiamoci: sogni, oroscopi, spiritismo e chincaglierie del genere erano passaggi obbligati per molti giovani che spesso cercavano una realtà un po’ più surreale di quella reale. Per questo, credo, quegli anni non meritano il tradimento dell’oblio.

Non lo meritano anche perché sono il segno di una ricerca interiore che mira a ben altro. Ecco, tutto ebbe inizio proprio in quel periodo, e tanto il barone Harper Barnaus – un nobile decaduto che per non vivere alla giornata si dedicava alla malavita avendo come copertura una poco credibile attività di costumista nel cinema – quanto Marta Debugging – una sensitiva, pranoterapeuta, esploratrice dell’occulto e, a suo dire, amica del sacro – ebbero la loro parte di responsabilità. Potremmo dire che l’amore ci aveva messo lo zampino, ma è assai imprudente parlare d’amore quando tra malaffare, travestimenti e discipline esoteriche, tutti impegni che richiedono ferrea dedizione, il sentimento è uno scomodo coprotagonista.

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Concerto a Vanagloria (Ensemble)

Un editore in crisi esistenziale ri­fiuta il romanzo di un grassissimo scrittore. È un capolavoro, apposta non vuole pubblicarlo. Le storie dei due si intrecciano a loro insaputa, coinvolgendo la ­glia dell’editore – una musicista il cui equilibrio mentale è stato gravemente compromesso dalle sue letture – alcuni rumorosi vicini di casa, un venditore porta a porta di aspirapolveri, e degli oscuri signori della guerra. Personaggi all’apparenza poco probabili, che risultano essere spietati ritratti di una realtà inclemente, dipinti in punta di pennello grazie a una scrittura agile e a un umorismo sottile, attraverso un continuo andare avanti e indietro nel tempo.

«Vedi, la verità è che dovremmo rappresentare la memoria come una valigia con la quale si affronta un viaggio. La si riempie sempre di qualcosa di inutile che però prima o poi ti attiva quell’area del cervello che ti fa sentire un idiota, o che ti fa ricordare qualcosa. I ricordi sono parte del presente, caro mio, non sono il passato. Noi riusciamo a ricordare solo piccoli flash, momenti di coscienza, perché per il resto, forse la nostra coscienza, è stato preso dall’attesa di qualcosa.

Forse un giorno ci troveremo a ricordare frammenti di questa conversazione senza rammentare quando e con chi l’abbiamo avuta. Ti chiederai “dove l’ho letto?”, perderai tempo prezioso a cercare di ricordare, e quel tempo che perderai a cercare tra i ricordi non sarà degno di essere ricordato». Fece una pausa ricordando che lo spumante gli dava bruciori di stomaco e lo bevve avidamente. «La vita è un costante susseguirsi di attese e accadimenti». Prese un altro calice e disse, «Bruciore di stomaco, fottiti!»

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Fermata del bus (Alter ego)

Esilarante e al tempo stesso riflessivo romanzo breve ritmato dai giorni della settimana e sviluppato come un diario. Narrato in prima persona da un personaggio che ha tutte le caratteristiche negative dell’uomo contemporaneo e che divide la sua vita tra casa, ufficio, moglie, amante e scappatelle. E poi c’è la fermata dell’autobus dove è costretto a condividere tempo e spazio con la gente comune e dove si incrociano metaletteratura e metafisica. Un io dilatato, ipertrofico ed egoisticamente chiuso in se stesso si racconta in uno stile letterario molto vicino al linguaggio teatrale.

LUNEDÌ

Maledico il giorno in cui ho distrutto la mia SW sbattendo contro un albero. Ora la mia belva blu riposa dal carrozziere, quel maledetto platano è ancora lì, e io sono qui, ad attendere il bus. E poi piove, l’ombrello ha un’asticella rotta, le scarpe e la ventiquattrore sono bagnate e sembro un accattone. C’è un balcone a pochi metri, spingo un bambino che con il suo zaino occupa due posti e sono al riparo, lo zaino si bagnasse pure con tutti i suoi libri, tanto il proprietario è destinato a fare il muratore. Una signora prende le difese del mocciosetto. Che roba. Ma ecco all’orizzonte la sagoma di un torpedone… Non è il mio. Non sale nessuno ma scende un anziano, si tiene in piedi con due stampelle, un parassita. Pazienza. 

Saluta tutti con un cenno del capo e comincia a sfogliare un quaderno. Una signora mi chiede un po’ di spazio, per non essere scortese spingo il bambino a far compagnia allo zaino, allo scoperto. Intanto c’è una schiarita e quegli individui si spargono sul marciapiede, finalmente si respira. Vedo che si dispongono ad arco e, al centro, il vecchio comincia a leggere. Io mi attacco al telefonino smart di ultima generazione, voglio chiamare in Comune per vedere se hanno dato seguito alla mia richiesta di abbattimento albero, e poi ne approfitto per segnalare questo drammatico ritardo. La signora di prima mi dice: «Ma che fa? Non si unisce a noi? Spesso capita di sentirne delle belle!». La ignoro mentre al telefono comincio a discutere con una voce sintetizzata che dopo un po’ mi passa un’operatrice svogliata; appena quella risponde le dico che se fossi io il sindaco la farei licenziare.

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Piricotinali col ruspetto - e altre storie dementi (Blanco)

Raccolta di racconti surreali, folli, esilaranti, burloni e fulminanti. Si va dalle vecchiette al supermercato che cercano cibi dal nome assurdo al giornalista che corrompe funzionari d’ogni sorta per fare l’intervista del millennio, dal fanatico di gadget che prova il suo mutatempo senza leggere le istruzioni all’extraterrestre che vuole partecipare a un concorso letterario. Insomma una carrellata di assurdità che però tanto assurde non sono. Si ride e si pensa.

Quando mi svegliai, trovai un biglietto sul tavolino da notte: Vado via per un po’, ci ritroviamo tra qualche giorno. Coscienza. Da non credere. Calligrafia infantile, penna che macchia, sembrava scritto da un bambino delle elementari. Eppure io avevo cinquant’anni. E poi ero solo, mia moglie era in vacanza. Chi poteva aver scritto quella roba, forse ero sonnambulo? Ma no, stavo ancora dormicchiando e quel biglietto era un residuo di sogno. Su, alziamoci e finiamola con queste farneticazioni. Mi alzai ed andai in bagno. L’acqua fredda in faccia e poi il caffè amaro mi avrebbero ridato lucidità.

Mi preparai per cominciare la giornata e, quando mi chinai per rifare il letto, notai che quel biglietto era ancora lì, non era un sogno, era lì a dirmi che la coscienza, ancora bambina forse perché io non l’avevo mai fatta crescere, era andata a farsi un giro e mi aveva lasciato solo. Che poi io con o senza coscienza, dato il limitato uso che ritenevo di farne, mi pensassi uguale, quello era un discorso da grandi, da adulti, non da bambini, quindi non avrei potuto farlo con quella mia propaggine che ora se la spassava senza di me. Ma come sarebbe andata in giro? Avrebbe fatto l’autostop? E chi si sarebbe caricato in macchina una coscienza così giovane, così poco usata come la mia? Bah! Affari suoi. Piuttosto c’era da pensare a cosa avrei fatto io, ora che non avevo la coscienza.

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Captaloona (Kairòs)

A cavallo tra il 20X- e il 20X+, la città di Captaloona sarà teatro di eventi epocali e, tra giallo e
fantascienza, il romanzo li narra dipanandosi in un clima surreale (ma per questo ancora più reale). Un fattorino malato di call-center adiction, una operatrice di call center che ha paura degli specchi ma che possiede una voce meravigliosa e un architetto assai celebre partono per questa città, dove trovano i più estremi orrori dello sviluppo edilizio e mediatico. Il romanzo è un’avvincente divagazione tra utopia e realtà.

Potevamo cominciare anche in un altro modo perché ora tutti gli altri personaggi potrebbero sembrare secondari ed è insensato raccontare una storia quando già se ne conosce la fine, ma la sfida di ogni scrittore è di incuriosire per la storia più che per l’epilogo. Bene, quindi al lavoro, occorre ben delineare il ruolo dei personaggi e dare il giusto valore a ciascuno di loro, cose a cui lo scrittore è abituato: una pennellata di alterigia qui, un tocco di presunzione là, un pizzico di allegria sopra, due gocce di buon senso sotto… insomma, ecco un personaggio. 

Certo, per essere ben delineato manca ancora molto, ma c’è una verità inconfutabile che dobbiamo tener presente quando si parla della razza umana: in ognuno di noi c’è tutto. Ciò che si esterna è solo la parte di questo tutto, che vogliamo esporre. Una parte è dormiente perché non gli si dà valore, un’altra è immagazzinata in un antro intimo perché temiamo che diventi il nostro Minotauro, un’altra è solo un fluttuare continuo di essere a latere, proprio sul punto di manifestarsi, un limite da varcare che non viene varcato… e poi si manifesta a metà perché ci pensa il pudore a nasconderla: manie, vizi, deviazioni, pazzia… ed è così che ci presentiamo al mondo: parziali!

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Il misterioso caso di Via Delia da
Gilal-Gulta (Città del sole)

L’ispettore del fisco Cipriani viene coinvolto casualmente in un’indagine misteriosa che si svolge attorno a un preciso palazzo di Via Delia da Gilal-Gulta, anonima strada di una qualsiasi anonima città di oggi, che risulta essere un luogo dove tutti sanno tutto di tutti, ma ognuno nasconde un mistero. Un intreccio gaddiano per un meta-poliziesco in cui non mancano intrighi, misfatti, depistaggi e tanti altri ingredienti che fanno della storia un divertente giallo metafisico che mette in evidenza gli aspetti più grotteschi della nostra esistenza.

Via Delia da Gilal-Gulta era una strada insignificante e sporca, dove scorrazzavano autobus rumorosi e giovani imberbi sfreccia-vano in motorino facendosi belli davanti a liceali accalcate pres-so i negozi di prodotti di bellezza. Macchine e camion frigorife-ri in doppia fila ingolfavano noncuranti il traffico e la maleduca-zione si concentrava in quelle poche centinaia di metri di strada. Ma anche la vita ci si concentrava, un grumo di vita in una gran-de città dove i palazzoni imponenti, appesantiti da quasi cin-quant’anni di particolato, smog e polveri sottili, sembravano bur-larsi della piccola e colorata umanità che animava i marciapiedi.

Il bar all’angolo e le molte botteghe alimentavano un tramestio ininterrotto di andirivieni senza senso: avanti e indietro, poi due passi, una sosta, altri due passi, e via, dietro l’angolo, dove via Delia da Gilal-Gulta sfumava in un vialone alberato. La gente, esplodendo da quel budello rumoroso, trovava sollievo disperdendosi nello spazio sconfinato di un vialone che, grazie a qual-che alberello tisico, appariva come un’infinita prateria.

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La stella e la sua luce (Il Filo)

Un giovane perditempo, un professore burbero, una acrobata in pensione e una giovane assistente alla produzione, formano un “commando” che ha la missione di sabotare il reality show al quale partecipano, mettendoci la cultura. Il piano viene scoperto e i quattro finiscono in galera. Trent’anni dopo i reality show sono solo culturali, e la missione è mettere la vita nei reality. Un esilarante romanzo che prende di petto la vita contemporanea con le sue più strambe rappresentazioni.

Mettiamola così: a un certo punto la vita si trasforma in migliaia di scintille, di semi, di gocce d’acqua… e si sparge in tutto quello che la circonda o che l’ha circondata, si miscela con altre scintille, si amalgama con altre forme nuove e in costante evoluzione. Ed è proprio la coscienza, la paura, il rispetto della morte che attizzano il fuoco, fecondano il seme, assorbono l’acqua… Non farsi sfuggire queste scintille ed essere per esse terreno fertile: questo è vivere pienamente! La morte, caro Avanzo, è trasformazione della vita. 

Questa si perpetua disperdendosi. Ciò che perdura oltre il tempo sono i sogni. Non è una questione di estensione o di apertura della coscienza. La coscienza è un fatto puramente umano. E da morti non si è umani, semmai anima. Per cui, sebbene non possa garantirle che dopo la morte esista uno stato di coscienza comunque esso sia, di sicuro posso dirle che dopo la morte c’è solo vita. Questo non lo dimentichi mai! La saluto. Germanio Lo Sfriso

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Il faro di Bighlise (Fermenti)

Vivace, inventivo, avventuroso e suggestivo romanzo dove, tra una risata e l’altra, si esplorano le vicissitudini di un gruppo di amici che frequenta il Faro dove il guardiano fa discorsi ermetici. Un romanzo ironico e bizzarro che mette a nudo le nostre quotidiane assurdità.

Cominciò così, senza alcuna premeditazione. Sapevo del faro e del guardiano, un vecchio solitario che si era ricucito una fama da santone. Sapevo anche che una schiera di fanatici si riuniva periodicamente davanti al faro per ascoltare l’indecifrabile messaggio del vecchio che, a detta di qualche conoscente di vecchia data, era fatto di equilibrismi enigmatici e di allusioni mistiche che nessuno capiva. 

Il faro era stato costruito qualche decennio prima su uno spuntone di roccia a strapiombo sul mare e suggeriva storie e leggende che si perdevano nella notte dei tempi, raccontando di pirati, di belle principesse rapite, di giovani streghe torturate, di sovrani e di rivoluzionari fuggiti da chissà quale complotto antico, doloroso e silenzioso, che li voleva tutti riuniti lì, pigri fantasmi dell’immaginario collettivo, preso a raccontare la sua storia di onde, vento e fragore marino, nient’altro che natura millenaria dove un architetto fantasioso aveva incastonato un faro inutile perché le imbarcazioni non avevano motivi per passare di lì.

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Io parlo jazz (Pàgine)

Un poeta appassionato di jazz che, non sapendo suonare nessuno strumento, parla come se stesse improvvisando in una jam session, frequenta, il venerdì, il Jam&Jazz, dove, all’ombra delle foto di Milt e Oscar, grappoli di note cadono sugli avventori. Un romanzo ispirato alle inquietudini del jazz dove un manipolo di stralunati personaggi trova la luce.

Ma ormai di strada se ne era fatta tanta ed era tutta strada sbagliata. Del resto la vita è fatta a modo suo e a poco serve ribellarsi ai suoi capricci. Basterebbe forse vivere un po’ più alla giornata per essere felici? Chissà! La vita è un giullare, un buffone di corte che si traveste da uomo serio. A volte una presa in giro. E forse tutti, belli e brutti, buoni e cattivi si sono ritrovati al valico, al confine tra giorno prima e giorno dopo scoprendo che, una volta valicato, non cambia niente. E si sono ritrovati sempre e comunque in mezzo al prima e al dopo. E questo è il momento più duro, il momento di decisione. Non si sa che c’è dopo, ma ci si deve comunque andare verso questo dopo. E non è mai quello che vuoi anche se quando il dopo di prima

diventa il prima di un altro dopo, ti accorgi che nulla è cambiato. Ma qualunque cosa tu faccia non puoi più tornare indietro e non puoi rifare le stupidaggini che hai fatto prima e che ora sono solo ricordi. E si nasce, poi si muore. Quello è il vero rebus. Prima di nascere, non sei e non sai. E dopo la morte non sei e non sai. Se ne raccontano tante di castronerie su quel prima e quel dopo che neanche ci si deve sforzare ad immaginare qualcosa di originale. Non che sia scomodo, anzi. Direi quasi che la vita alla fine diventa inespressiva come un pagliaccio poco divertente o un comico che non fa ridere… E a volte ti sembra una puttana che non scopa, un topo che non rosica il formaggio, un uragano senza vento, un cielo senza blu. Poi, d’improvviso, un bel giorno si sveglia e… Caspita! Com’è bella!

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Ovvero, le porte del mare (Pàgine)

Un trovatello scrive il tempo. Il suo tutore vuole piegare l’orizzonte. Intanto delle trame rivoluzionarie sconvolgono il regno. Dalla critica definito “romanzo favolistico”, è l’opera in cui inizia a formarsi lo stile dell’autore.

Lisabianca terminò di leggere e guardò quel lembo di mare che ogni volta toglieva il fiato. Era così bello stare lì a guardare. Fu proprio da quel pezzo di natura inquieta che un giorno ormai lontano si era materializzata la figura emblematica di un giovane che le portava un plico senza pronunciare parola. Il giovane sapeva chi era lei e lei sapeva cosa voleva il giovane. 

Hernando, il suo Hernando era lontano, eppure le era vicino e quel giovane portava in mano una lunga lettera e mille carezze sospirate alle nuvole nel silenzio della solitudine. E così successe altre volte ancora, ogni volta che dal mare le veniva incontro il suo sogno segreto. Una, due, tre… mille lettere. Tutte fatte di braccia e carezze. Tutte sospiri e desideri.

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